Prosegue il viaggio di abruzzo24ore.tv negli altri crateri sismici. Dopo l'Irpinia e Giove in Val Topina, con tappa nell'ultimo insediamento di container, è la volta di Nocera, la grande incompiuta della ricostruzione post-sismica dell'Umbria. Riprese e testi sono di Filippo Tronca, il montaggio di Maria Laura Carducci.
NOCERA UMBRA E L'AQUILA: UN DESTINO COMUNE?
Nocera Umbra come la vicina Giove, per anni dimenticate al loro destino post-sismico, una volta che i riflettori si sono spenti sul terremoto dell'Umbria e delle Marche, hanno riscoperto la celebrità, e le luci della ribalta mediatica, solo dopo il terremoto del sei aprile 2009 a L'Aquila, diventando meta di pellegrinaggio per inviati gabibbi, agguerriti capitan ventosa, e indignati logoteti del regno, che hanno ricordato agli italiani che dopo tredici anni dal terremoto umbro, presunto miracolo, Nocera Umbra ancora non viene ricostruita e il suo centro storico è in buona parte distrutto. E che nella piccola frazione di Giove ci sono famiglie che vivono ancora nei container. Il tutto per imbastire una discutibile sineddoche televisiva: far passare cioè la parte, una piccola parte, per il tutto, infiocchettando così un chiaro messaggio ai telespettatori italiani: ''Visto che ha combinato Prodi? Altro che miracolo, il vero miracolo è quello che si sta facendo a L'Aquila!''. E ai telespettatori aquilani: ''Non vi lamentate troppo, non vedete che anche in Umbria ci sono dopo 13 anni case distrutte, zone rosse e macerie? E c'è gente che vive in umidi e orribili container, invece che in bellissime C.a.s.e.?''.
In realtà Nocera Umbra è un'eccezione, seppur clamorosa e gravissima, di una ricostruzione, quella umbra, che a tredici anni dal sisma può dirsi pressoché conclusa, visto che il 95% dei degli sfollati sono rientrati nella propria casa perfettamente a norma o abita in una casa di nuova costruzione al posto di quella vecchia. E il 65% delle persone hanno ricevuto la casa ricostruita solo dopo tre anni. In Umbria fu poi possibile trasformare il terremoto in un'occasione di rilancio e di messa a sicurezza in centinaia di Comuni. Il consumo di suolo, bellezza e paesaggio è stato tutto sommato contenuto, si sono rimessi a nuovo interi centri storici, recuperati borghi abbandonati, costruiti musei, avviati agriturismi , restaurati chiese, conventi, mura medioevali e castelli, si sono realizzate opere pubbliche e infrastrutture.
Certo: va detto anche che in Umbria gli sfollati furono 22mila, neanche un terzo rispetto a quelli dell'Aquila, il danno al patrimonio edilizio e storico-culturale inferiore rispetto a quello causato dal terremoto aquilano. E soprattutto non si verificò la distruzione quasi completa di un capoluogo di regione abitato da 70mila persone, che ha imposto scelte inedite e difficilissime in fase di emergenza. A differenza del terremoto aquilano quello umbro è arrivato in un'epoca dove lo Stato poteva fare ancora debiti e buchi in bilancio. Da lasciare in eredità alle generazioni future e alle catastrofi a venire.
Nocera rappresenta l'eccezione di questo miracolo o presunto tale. A tredici anni dal sisma quasi tutto l'antico e bellissimo centro storico è infatti ancora inagibile, interi quartieri devastati, come se il terremoto sia avvenuto solo qualche mese fa. Anche le case ristrutturate sono disabitate, perché ancora non vengono realizzati i sotto servizi. In centro sono tornate solo pochissime famiglie. Le saracinesche dei negozi sono abbassate.
E' importante anche per gli aquilani, e per chi in Italia, un paese a elevatissimo rischio sismico, subirà la stessa amara sorte, capirne i motivi, per evitare che gli stessi errori si ripetano. Presupposto che a L'Aquila non si siano già commessi. Ecco dunque alcune prime risposte che abbiamo forse trovato nel nostro breve viaggio a Nocera.
La zona rossa dimenticata e lo sprawl urbano
Scrive Angelo Frillici nel libro ''Chi è stato? Cause e e responsabilità della morte del centro storico di Nocera Umbra'', una ricostruzione documentatissima della ricostruzione mancata: ''La città è morta anche perché i suoi abitanti hanno perso l'affezione alla loro vecchia casa del centro. Dodici anni di assenza hanno annullato le abitudini di una vita. Sono sorti nuovi stimoli, nuove esigenze e comodità quotidiane''.
La città insomma è morta per l'errore di chi ha sigillato per anni con portoni di legno e sbarre ogni accesso al centro della città. Questo invece non è accaduto in altri centri umbri colpiti dal sisma, dove una priorità è stata quella di riaprire il prima possibile spazi comuni e locali commerciali anche in case semi-agibili del centro storico.
Le attività commerciali del centro di Nocera, come spiegano gli eroici commercianti protagonisti del nostro reportage, hanno invece riaperto in periferia, in out-let prefabbricati, centri commerciali, container e case di legno lungo la via Flaminia. Ora loro in centro non ci vogliono tornare, perché per le nuove strutture non pagano affitto, sono di loro proprietà, spendono meno di riscaldamento essendo meglio coibentate di un locale in pietra.
E soprattutto perché intanto la città e la clientela si è spostata in periferia. Riaprire in centro, e in molti casi sarebbe possibile, significherebbe fare la fame. Ma se i negozi non tornano in centro il centro non si ripopola. E 'un cane che si morde la coda. Un circolo vizioso. Che nessuno ha la forza di spezzare. In quanto un sindaco a differenza di un commissario, deve essere votato.
Il temporaneo che diventa definitivo
Anche a Nocera Umbra è stato realizzato l'equivalente di un progetto C.A.S.E. aquilano, ovviamente in scala. Un intervento edilizio cioè di emergenza non provvisorio, né removibile. Nel giro di un anno, mentre gli sfollati hanno atteso prima in container e poi in case di legno, sono state realizzati piccoli quartieri di case popolari nelle estreme periferie, confortevoli e sicuri dal punto di vista sismico. Alcuni immersi nel verde, con trasporti efficienti e servizi più che adeguati.
La gente abitandoci pian piano ci si è abituata, ed ora, anche a causa dei problemi e dei ritardi connessi alla ricostruzione, ha preferito restare in un abitazione che doveva essere solo provvisoria. Il centro arroccato in cima alla collina pian piano è stato dimenticato. E se il centro rimane vuoto e senza vita, sono in molti ad avere pochissimo interesse a spendere soldi per ultimare la riparazione della loro casa – spiegheremo questo aspetto qui di seguito - perché ad esempio prima quella casa gli serviva per affittarla ai numerosi turisti che visitavano Nocera. Ed ora il turismo a Nocera non c'è più, anche perché non ci sono posti letto e servizi, nell'antico centro storico che non riapre anche perché non c'è turismo. Un altro cane che si morde la coda.
Ricostruzione al 200%
C'è un paradosso poco raccontato della ricostruzione umbro. Nocera, paese tra i più devastati dal sisma, non è stato ricostruito. Mentre paesi che furono colpiti solo marginalmente dal sisma, sono stati rifatti e ristrutturati completamente ed ora sono piccoli gioielli. Come dire, in certi casi la ricostruzione post-sismica in Umbria ha funzionato bene dove il terremoto non c'è stato, dove non ha determinato la distruzione pressoché totale di un centro storico, e l'evacuazione di tutta la popolazione.
In Umbria, con lo strumento dei Pir, Piani integrati di recupero, lo Stato dispose che se in un fabbricato di dieci appartamenti uno solo risultava danneggiato, il finanziamento, più che sufficiente per una ristrutturazione completa, andava garantito a tutti gli altri nove appartamenti. All'indomani del sisma il cratere sismico, fu esteso ben oltre la decina di città e paesi davvero distrutti, e ciò consentì di spalmare i circa 5,3 miliardi di fondi della ricostruzione su buona parte della provincia di Terni e anche quella di Perugia. I protagonisti di questa ricostruzione rivendicano con orgoglio questo approccio, perché in questo modo si è recuperato e messo in sicurezza antisismica un ampio territorio di grande valenza storica e artistica. Una grande opera che nel paese dei palazzinari, degli eco-mostri e delle grandi opere inutili è stata davvero in controtendenza. Ma evidentemente a causa di questo approccio per così dire olistico si è persa forse di vista la priorità di ricostruire ciò che davvero era stato distrutto, almeno nel caso di Nocera. Di concentrare gli sforzi sulle macerie quelle vere. Di aiutare in primis chi ha vissuto sulla pelle la catastrofe del sisma.
Il Comune di Nocera proprio per questo non fu supportato a dovere e a detta di molti si è dimostrato inadeguato all'immane sfida. La Regione, a cui la ricostruzione dell'Umbria fu affidata a sua volta non è intervenuta tempestivamente e con efficacia a raddrizzare gli errori commessi. Una delle cause dell'impantanamento della ricostruzione di Nocera è stato ad esempio il mancato rispetto da parte di alcune imprese appaltatrici delle norme che dispongono il termine di ultimazione dei lavori di ricostruzione. Il Comune, ma anche la Regione, sarebbero dovute intervenire, avrebbero dovuto controllare, prevenire e poi punire i ritardi. Ma questo non è accaduto.
Non si poi è pianificato a Nocera un intervento integrato, un vero masterplan. Le belle idee illustrate i svariati convegni sono rimaste flatus voci.
E nel centro storico di Nocera per tale mancanza di visione di insieme si costituirono ben 24 consorzi, che hanno agito male, in ordine sparso. La ricostruzione si è incagliata nei gineprai della burocrazia, si è persa nelle aule dei tribunali e nei cassetti degli avvocati. Ed ora potrebbe essere toppo tardi venirne fuori.
Vatti a fidare dei presidenti...
A tredici anni dal sisma tanti sfollati doc non vogliono tornare a casa loro nel centro storico di Nocera, anche perché dovrebbero tirare fuori di tasca loro parecchie migliaia di euro, la parte cioè non coperta dallo Stato per gli interventi di ricostruzione. Senza addentrarci nella complessa normativa, basti dire che per le finiture e gli impianti interni delle seconde case ad esempio lo Stato in Umbria ha finanziato il 90% del costo per i pensionati con la minima e indigenti, 80% per redditi fino a 21 milioni di lire, 40% per redditi superiori ai 30 milioni di lire. Altri accolli economici, anche per le prime case, sono stati poi il risultato di errori progettuali, di ritardi, di mancato rispetto delle norme da parte delle ditte. Di denunce, processi e ricorsi.
Giuseppe Pesciaioli, presidente di un comitato cittadino ha spiegato al quotidiano la Stampa: ''Un quarto del centro non è stato ancora messo a posto e i costi sono lievitati di un milione di euro, che sarà accollato ai singoli proprietari di case. Dei tre quarti ricostruiti, il 99 per cento è ancora disabitato per problemi strutturali: fognature, acqua, e così via. Non hanno voluto far lavorare le aziende locali perché temevano subappalti - dice ancora Pesciaioli - È successo che i subappalti li hanno fatti le ditte venute da fuori: se lei guarda i cartelli sui cantieri, vedrà che sono tutte ditte del Casertano, dell'Avellinese, della Calabria. Non voglio dire che non siano bravi: ma rischiamo di perdere la nostra identità. Il guaio è che, come sempre, c'è stato un grande attivismo nell'immediato post-terremoto, quando c'erano qui le tv. In quel periodo tutti bravi e tutti efficienti. Spenti i riflettori, il pallino è passato ai Comuni, che non dappertutto sono stati all'altezza''.
Un'altra cosa abbiamo poi imparato dal breve viaggio a Nocera: mai non fidarsi troppo delle promesse. Non pochi presidenti dei consorzi, scrive ancora Angelo Frillici, dissero ai terremotati: ''Fidati di me, non ti preoccupare di nulla, penso a tutto io. Riavrai la tua casa senza l'esborso di un solo euro, perchè grazie alla mia ditta di fiducia, alle mie conoscenze in comune e regione, con il contributo pubblico saranno eseguiti tutti i lavori''. Con questa promessa molti diventarono presidenti di consorzio, un lavoro molto ben retribuito, con una percentuale dell'importo dell'intervento.
Ma la loro promessa in molti casi non è stata mantenuta. I soldi non sono bastati, ed anzi i costi dell'intervento sono aumentati con i meccanismi perversi dei subappalti al ribasso, con l'aumento del costo del materiale a causa dei ritardi. Ora accade che alcuni proprietari non hanno i soldi per completare i lavori. O non li vogliono tirare fuori per principio, perché gli era stato garantito uno scenario ben diverso.
Ma è accaduto anche che per realizzare tutto l'intervento con i soli soldi pubblici, i lavori sono stati fatti male, perché si è risparmiato in materiali , tempo e professionalità. In entrambi i casi a tredici anni dal sisma intere vie e decine e decine di abitazioni, che in apparenza sembrano essere state ricostruite alla perfezione, addirittura con le pietre a vista e infissi in ferro battuto, in realtà non sono né agibili, né abitabili. Scatole vuote.
Scrive ancora Angelo Frillici: ''Moltissimi abitanti non rientreranno nel centro storico, nelle loro case, perché hanno paura di nuovi eventi sismici, perché sostengono che la ricostruzione è stata opera di maestranze raccogliticce e mal pagate, di progettisti frettolosi ed ingordi di parcelle, di direttori dei lavori assenti e sordi, di imprese strozzate da corone di subappalti e costrette a risparmiare su tutto per portare a casa la pagnotta quotidiana''.
E questo è accaduto anche perché parte dei terremotati, in buona fede hanno delegato tutto ai presidenti del consorzio, e agli attori istituzionali della ricostruzione, a cominciare da Comune e Regione. Non hanno controllato passo passo l'esecuzione dei lavori. Di fatto a Nocera la ricostruzione è stata de facto commissariata dai presidenti dei consorzi e dagli imprenditori edili venuti da fuori.
Come dire, a Nocera come a L'Aquila: non può esistere una buona ricostruzione senza la partecipazione reale dei terremotati.
Filippo Tronca