In Italia sono presenti diverse isole allogene di antico insediamento,
comunità appartenenti ad altra stirpe che convivono tranquillamente con la popolazione locale pur conservando i propri riti e la propria lingua. Il più “giovane e settentrionale” insediamento di origine albanese risale al XVIII secolo ed è localizzato in Abruzzo a Villa Badessa un paesino situato nella fertile vallata del fiume Nora immerso nel verde della campagna pescarese tra coltivazioni di viti e ulivi.
LA STORIA
Sin dal XV secolo molte famiglie albanesi, per sfuggire all’oppressiva egemonia e persecuzione religiosa dei turchi, emigrarono in Italia in epoche diverse nelle regioni : Abruzzo, Molise Puglie, Lucania, Calabria Sicilia. Provenivano dall’Epiro storica regione a sud dell’Albania ed erano originari dei villaggi epiroti di Piqèras Ljukòva, Nivizza, Shen Vasilj, Corfù.
Un nucleo, composto da circa 23 famiglie, arrivò in Italia nella prima metà del XVIII secolo, si fermò nella nostra regione e trovò benevola accoglienza ed ospitalità dal Re Carlo III, Borbone di Napoli, che li accolse prima nel tenimento di "Bacucco", attuale Arsita, dipendente del Feudo di Penne, poi nel territorio di Pianella, ed elargì loro i terreni ereditati dalla madre Elisabetta Farnese, ed espropriò per loro altri appezzamenti tenuti in enfiteusi dal Signori Taddei, in Contrada "Abbadessa" di Pianella, e da cui il Paese prese il nome: Villa Badessa.
Il piccolo nucleo, che era accompagnato da due sacerdoti ortodossi ai quali fu affidata la cura spirituale della comunità, si insediò ufficialmente in Abruzzo il 4 marzo 1744. Questo si evince da atti notarili dell’epoca che rilevano che le famiglie albanesi giunte nel territorio di Pianella erano proprio 23 di cui sono annotati i cognomi , i terreni assegnati, gli approvvigionamenti, le condizioni e le garanzie da osservare verso la casa Reale. Il documento che conferma l’epoca di arrivo della comunità cosiddetta “arberesche” in Abruzzo è un vecchio registro dei battezzati presente nella casa canonica in cui si trova anche l’annotazione del primo battezzato che reca la data del 18 novembre 1743.
La peculiarità di questo villaggio risiede nella preziosità dei suoi riti e della sua cultura. Le tradizioni del paese d’ origine si sono tramandate nei secoli e sono tutt’ora rispettate e gli Albanesi di Villa Badessa come, tutte le popolazioni che si rifugiarono in Italia, continuano ad esprimersi nel loro idioma , e a seguire la liturgia di rito greco bizantino. Battesimi, matrimoni, funerali , celebrazioni ma anche la messa domenicale, hanno caratteri e cerimoniali di grande suggestione, assai diversi da quelli occidentali soprattutto per la mancanza di simulacri scol¬piti, al loro posto icone tutte di grande importanza storica e documentale e alcune di notevole valore artistico, presenti nei riti e nelle processioni.
LA CHIESA
La Chiesa parrocchiale dedicata alla Theotocos Assunta in cielo, Kimisis, costruita nel 1754 , è l’unica in Abruzzo di rito greco-bizantino che fa capo all’Eparchia di Lungo in Calabria.
Un piccolo edificio con elementi tipici dell’architettura religiosa greco balcanica con struttura esterna semplice e austera , trifore sulla facciata e un pronao semicircolare che mette in comunicazione il mondo esterno con l’interno accompagnando il fedele durante l’ingresso nell’ambiente sacro.
Ma è l’interno che colpisce e stupisce con l’iconostasi nella zona terminale ,la parete , il paravento che separa lo spazio dei fedeli da quello riservato al papas e soprattutto le 75 preziose icone: dipinti su tavole dal XV al XX secolo. Le brillantissime Iconostasi risplendono arricchite da sfondi in oro puro che conferiscono sacralità e richiamano al legame della ritualità greco-bizantina con quella delle origini. Nel 1965 alcune tra le più preziose icone furono interessate da un'importante campagna di restauro voluta dal papàs (parroco) Lino Bellizzi e dall’allora Ministero della Pubblica Istruzione (divenuto poi Ministero dei beni culturali) che le dichiarò “opere di interesse nazionale” tali da costituire la più ricca collezione di icone epirote.
Nella cultura bizantina e slava le icone sono prestigiose e culturalmente molto importanti. Dal greco “eikon” “immagine” queste sacre raffigurazioni sono dipinte su tavola di legno scavate all’interno in modo da creare uno sbalzo sul bordo che era la cornice dell’opera. In realtà l'icona è l'espressione grafica del messaggio cristiano , per questo motivo nelle lingue slave le icone non si dipingono ma si “scrivono”, al punto che si può parlare di arte teologica e non di arte religiosa.
LE FESTIVITA’
Una importante ricorrenza dell’anno liturgico bizantino, è la festa di Maria Odigitria (“che ci guida”) si svolge l’8 settembre a Villa Badessa. Si celebra con una suggestiva processione serale di sontuosa scenografia orientale, in cui viene portata la preziosa icona di arte greco-bizantina raffigurante l’Odigitria custodita nella chiesa dell’ Assunta insieme a molte altre realizzate tra il XV e il XX secolo.
Le celebrazioni della Settimana Santa a Villa Badessa hanno inizio con gli “enkomia”, il pianto delle donne durante la veglia notturna sulla icona della deposizione di Cristo. Nelle ore antelucane della domenica di Pasqua, il papas, rivestiti i paramenti solenni con l’icona della Resurrezione e seguito dai fedeli che hanno passato con lui la notte in preghiera nella piccola chiesa, dà vita ad una suggestiva processione che, partendo dalla iconostasi interna si reca sul narcete che si apre davanti alla costruzione sacra .
I partecipanti sfilano tenendo in mano delle fiaccole che illuminano le ultime ore della notte in un grande silenzio. Al sorgere del sole il papas canta il primo verso del Vangelo secondo Giovanni e, intonando canti di gioia e con toni di grande giubilo che ricordano le antiche danze della liturgia greca, riavvia il corteo all'interno della chiesa, dove i partecipanti, conclusa la litur¬gia del mattino, si scambiano gli auguri donando¬si a vicenda uova dipinte e decorate.
Una festa pagana è invece è La Ruzzola :un gioco antichissimo che sembra risalire al tempo degli Etruschi (come si evince da un affresco nella “Tomba dell’ Olimpiade” di Tarquinia in cui viene raffigurato un lanciatore di formaggio). Si gioca con delle forme di pecorino stagionate che vengono lanciate facendole ruzzolare con l'aiuto di una cordicella legata al polso del giocatore e avvolta a spirale sulla forma.
La forma corre veloce lungo la strada. Vince chi percorre la maggiore distanza in tre lanci. Le forme sono di peso diverso per categoria: Uomini. Donne, Ragazzi, Bambini. Con la pula del grano si asciuga l'olio che trasuda dalla forma per farla mantenere stabile alla presa e al lancio. Le forme devono essere di stagionatura giusta per essere rigide da non rompersi ma anche elastiche da riuscire a superare ostacoli e asperità delle strade.
Un tempo la ruzzola si svolgeva in concomitanza della festa del patrono S. Spiridione l’8 settembre ma dal 1991 la gara si svolge il 1 maggio.
Ricostruzione storiografica di Elisabetta Mancinelli